Another Place, New Mental Landscapes – intervista ad Alessandro Calizza
Nato nel 1983, Alessandro Calizza vive e lavora a Roma. I suoi lavori sono stati esposti in numerose città italiane ed all’estero e in questi ultimi anni diverse testate giornalistiche e televisive hanno parlato del suo lavoro, tra cui ad esempio TG2 Insieme, Repubblica, Il Messaggero, Telegramme, Le petit Bleu, Insideart, Artribune, Eos Arte, ArtaPartofCulture, Urban Mirrors, Organiconcrete, Artnoise, Art HUB, La Nouvelle Vogue, Daily Storm. La sua ricerca si rivolge al mondo immaginario che ne abita la mente, ma che prende vita dalla realtà esperita ogni giorno, riflettendola in nuove forme ed allegorie. A maggio 2018 ha esposto nel salone di Roma a Testaccio con la mostra Global Warning e, ad aprile esporrà nel salone di New York con la mostra Stoned.
Come hai conosciuto il mondo ContestaRockHair?
Il mio incontro con ContestaRockHair è un incontro pressoché casuale. Simona Santopaolo, curatrice del progetto Another Place – New Mental Landscapes, nonché ex collega di studio alla San Giacomo di Roma, dai tempi del 2006/2007, mi invia (per sbaglio) un sms. Rispondo al messaggio e decidiamo di incontraci per discutere del suo progetto nei saloni di ContestaRockHair. Ho sposato subito l’idea e abbiamo pensato insieme ad una mia mostra per il salone di Roma a Testaccio, da rendere poi itinerante negli spazi di ContestaRockHair. Ad aprile, infatti, inaugurerò la mia seconda mostra nel salone di New York.
Raccontaci la tua esperienza nel salone di Testaccio a Roma
A Roma è andata molto bene. Nonostante non fossi abituato ad esporre all’interno di spazi non convenzionali, come saloni di parrucchiere per l’appunto, nulla è risultato fuori luogo. Negli ultimi due anni ho lavorato praticamente solo con musei e gallerie. Esporre in uno spazio diverso da questi è stato molto stimolante ed entusiasmante. Ciò che per me è importante è il valore che si dà al lavoro quando viene promosso. Avere un riscontro dalle persone è ciò che mi interessa davvero, al di là del contesto. E da ContestaRockHair posso dire di avere percepito e ricevuto la giusta attenzione, grazie alla presenza costante di Simona, Cosimo, delle ragazze e dei ragazzi del salone. Molte, troppe volte, spazi non convenzionali ospitano mostre d’arte solo per il gusto di arredare l’ambiente e il vero messaggio non viene minimamente valorizzato né capito. Inoltre, è l’interesse per il progetto Another Place, nonché la sintonia con le idee da cui ha preso vita, che hanno reso possibile questa collaborazione.
Cosa esporrai nel salone di New York?
Stoned – Project#2 – Nyc
Non conosco New York ed è una realtà che mi attira e stimola. Quindi quale migliore occasione per vistarla che con una mia personale? Il progetto si chiama Stoned. Gioco sempre molto con le parole nei miei titoli e nella chiave di lettura che do ai miei lavori. Nell’esposizione di Roma il nome utilizzato ad esempio è stato Global Warning, focalizzando il progetto su una denuncia dell’epoca contemporanea attraverso la rivisitazione di opere classiche. Cambiando una m con una n, avvertimento e riscaldamento si fondono in un tutt’uno generando una sorta di allarme purtroppo quanto mai necessario ed attuale. I lavori della serie Stoned sono invece caratterizzati da composizioni di pietre in equilibro precario e da scritte. Il font che ho utilizzato è lo stesso che si utilizza nei cartelloni pubblicitari e nei cartelli di vendesi e affittasi. Si tratta di “campagne pubblicitarie” che in realtà vogliono svelare quale sia il messaggio nascosto e malato che quotidianamente questa società ci costringe ad assecondare: all’apparenza in tv, sui social e sui media in generale siamo sommersi di promesse di successo e felicità. Ciò che accade è invece che, giorno dopo giorno, seguendo questi canti di sirena, perdiamo sempre più la nostra identità e la capacità di avere uno sguardo critico sulla realtà che ci circonda. In questi cartelli ad esempio vediamo scritte come Freedom for rent. Un totale controsenso. Crediamo che ciò che abbiamo sia nostro, compresa la nostra libertà, ma se smettiamo di pagarne le rate ecco che ci viene richiesta indietro senza alcuno scrupolo, proprio come una casa, la macchina o il telefono comprati a rate. O ancora, Chains for sale, catene in vendita. Altro controsenso. Catene che più o meno coscientemente “compriamo” mossi da bisogni indotti da questo sistema e in cui decidiamo di imprigionarci ogni giorno.
Questo è dunque il livello di lettura che porterò a New York il prossimo 6 aprile. Ci saranno circa otto tele, di cui alcune realizzate ad hoc per il progetto Another Place, più una serie di incisioni all’acquaforte. Quest’ultimo è un medium che amo molto anche se è poco utilizzato e che mi piace (ri)attualizzare nel mio lavoro. Saranno opere volutamente incentrate sullo stesso soggetto ripetuto più volte, per poterne rafforzare ed approfondire il concetto. A livello concettuale le persone si troveranno circondate da cartelli con messaggi forti, anche un po’ ansiogeni se vogliamo. Il tutto attraverso colori e codici pop. Non c’è pessimismo nelle mie opere, c’è l’intenzione di lanciare un allarme. Come dire: “attenzione che le cose stanno andando in questa direzione e non mi sembra proprio quella migliore”. Concetto questo che rappresenta il filo conduttore del mio percorso artistico. Se con la mostra Global Warning ho voluto esplicitare e rendere noti gli effetti di queste dinamiche malate, con Stoned, invece, rifletto sui meccanismi del sistema: da un lato i messaggi, dal un lato l’immagine dei sassi: sassi molto piccoli alla base che reggono sassi più grandi in un equilibrio totalmente precario. Non è altro che una metafora di ciò che il sistema sia attualmente. Sembra così solido, immutabile e inamovibile visto standoci dentro, ma basta un tocco e crolla tutto. Le persone non si rendono conto di quanto basterebbe poco per cambiare queste dinamiche. Tutti noi siamo circondati da imperativi (come quello espresso ad esempio nell’opera Smile and say thanks) che facciamo nostri per inerzia. Stoned (letteralmente ipnotizzato/ offuscato ma anche lapidato) vuole scuotere le coscienze e portare alla luce un fenomeno ben radicato. Anche perché l’arte senza un fine che sia sociale e quindi politico non ha alcun senso, è decorazione.